4 luglio 2017

 

Oggi possiamo affermare che la salute è un diritto garantito nel mondo occidentale, anche se molti ostacoli devono ancora essere rimossi.

In Africa invece la salute è ancora un privilegio per pochi. Infatti, nonostante gli impegni presi a livello internazionale nell’ambito delle Nazioni Unite e dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, la copertura sanitaria in Africa, e nell’Africa sub sahariana in particolare, è ancora un miraggio. Secondo la Nazioni Unite, l’Africa detiene solo il 3% del personale sanitario mondiale, nonostante abbia gran parte del carico delle malattie del mondo. Ma non solo. Le malattie, che nella maggior parte dei paesi sviluppati sono “prevenibili”, in Africa oltre a essere molto diffuse, sono ancora causa di morte.

Alcuni esempi rendono facilmente l’idea: in Guinea, Liberia e Sierra Leone - i tre Stati più colpiti dall’emergenza Ebola - ci sono 4,5 medici ogni 100mila abitanti, mentre in Italia la media è di circa 376 medici ogni 100mila abitanti. Le malattie infettive sono la causa del 40% dei decessi nei Paesi in via di sviluppo mentre nei paesi industrializzati il tasso è dell’1%. Nell’Africa sub sahariana l’HIV è ancora la prima causa di morte: 11,5%. La stessa regione detiene ancora l’89% dei casi di malaria con il 91% dei decessi a livello mondiale. Il 95% dei decessi dovuti alla tubercolosi si verifica nei Paesi a reddito basso e medio basso.

Numeri che solo a leggerli fanno impressione.

Se poi aggiungiamo che una parte dei Paesi di cui stiamo parlando detiene un’enorme ricchezza in termini risorse naturali – l’Angola estrae circa 2 milioni di barili di petrolio al giorno e la Nigeria 1,75 milioni, tanto per fare due esempi – si vede come i proventi di queste ricchezze prendano altre vie che quelle destinate a migliorare la qualità della vita e delle salute dei cittadini.

Come sicuramente molti di voi ricordano Fondazione Paracelso ha lanciato nel 2013 il suo secondo progetto di aiuti internazionali dopo l’Afghanistan: lo Zambia. L’obiettivo era di togliere dall’invisibilità i pazienti emofilici del paese centrafricano, dove purtroppo una malattia rara non è una priorità per chi gestisce la sanità. Dal 2013 è stato fatto molto: due missioni, la nascita dell’Associazione zambese dei pazienti, la formazione di medici e di personale sanitario e l’invio di un discreto numero di dosi di farmaci per il trattamento della malattia.

Ma si dovrebbe fare ancora molto di più. Nonostante i nostri sforzi, a oggi sono stati diagnosticati solamente 42 pazienti a fronte di un numero stimato di circa 1.300 emofilici nel paese africano. Per questo stiamo cercando degli ulteriori finanziamenti per valutare una nuova missione e ampliare il progetto. Un piccolo aiuto in un quadro molto difficile, ma che almeno può dare sollievo a pazienti fino a oggi “invisibili” agli occhi di tutti.

 

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